Dapprima tremendo fu il silenzio
 Dapprima tremendo fu il silenzio

 Dapprima tremendo fu il silenzio

 

Giorgio Siciliano + Chiara Colombo

 

EPISODIO 2

 

 

È Shakespeare che si rifugia in casa mentre il mondo precipita nel silenzio e nel buio. È la storia di un ricordo che ritorna e trafigge l’anima. È un dialogo estenuante con la propria solitudine mentre il suono delle sirene sovrasta le parole. È il momento in cui il mondo torna a respirare nella luce e nel rumore delle strade e delle piazze. È infine Ophelia che ritorna.

 

La serie nasce da un’idea di Giorgio Siciliano che si chiede cosa sarebbe successo se Shakespeare si fosse innamorato di uno dei suoi personaggi più celebri, Ophelia. Si chiede se mai si sia sentito in colpa per aver creato una donna così eterna per poi decidere di farla impazzire e di ucciderla.
Dall’incontro con Chiara Colombo nascono le illustrazioni di questa serie. In ogni episodio, attraverso un genere letterario diverso, Dapprima tremendo fu il silenzio racconta di questo dramma e di questa resurrezione.

 


 

Il terzo episodio è un dialogo tra Shakespeare e Gudu.

 


 

 

 

Shakespeare sta seduto su un divano mentre guarda alla televisione la stessa edizione di un telegiornale ripetersi. Gudu dietro al divano, alla destra di Shakespeare, sta seduto su di uno sgabello anche lui guardando lo schermo della televisione.

In lontananza si sentono le sirene delle ambulanze avvicinarsi. Shakespeare si tappa le orecchie, chiude gli occhi e abbassa la testa. Gudu rimane immobile sullo sgabello.

 

 

Shakespeare: Tornano di nuovo.

 

Gudu: Lo sento.

 

Shaskespeare: Puoi farle smettere?

 

 Gudu: Non so io che decido.

 

Shakespeare: Chi è che decide allora? 

 

Gudu: Non io, forse tu.

 

Shakespeare: E come?

 

Gudu: Accogli il tuo dolore.

 

Shakespeare: Quale dolore?

 

Gudu: Il dolore che tormentato il tuo corpo per quaranta giorni e quaranta notti.

 

 

Le sirene delle ambulanze si allontano fino a sparire. Shakespeare abbassa le mani, tira su la testa e si rimette a guardare il televisore 

 

 

Shakespeare: Forse non ho neanche più un corpo.

 

Gudu: E senza corpo cosa saresti?

 

Shakespeare: Sarei un soffio di vento e volerei tra i continenti della terra. E tutti vedrebbero le mie emozioni. La mia rabbia nei mari in tempesta, la mia malinconia nella danza dei cipressi, la mia dolcezza nei cieli limpidi di maggio.

 

Gudu: Cos’è il tuo corpo allora?

 

Shakespeare: Il mio corpo è carne e nella carne c’è il peccato, e nel peccato non c’è tenerezza ne innocenza.

 

Gudu: Qual è il tuo peccato?

 

Shakespeare: Voler dimenticare.

 

Gudu: Il più giusto tra i peccati.

 

Shakespeare: Dici?

 

Gudu: Dimenticare è sopravvivere.

 

Shakespeare: Forse.

 

Gudu:  l’unica cosa che ci resta da fare.

 

Shakespeare: Vorrei evitarlo, sai?

 

Gudu: Eppure non puoi. Guardati. Guarda sul tuo volto come il ricordo ha ridotto i tuoi occhi.

 

Shakespeare: Sembrano fatti di cenere.

 

Gudu: Guarda come il ricordo fa tremare le tue mani.

 

Shakespeare: Non riesco più a tenerle ferme. Mi sembra passata una vita.

 

Gudu: Da quando?

 

Shakespeare: Da quando le mie mani creavano storie eterne.

 

Gudu: E donne eterne.

 

Shakespeare: Sì, donne eterne.

 

Gudu: Parli di Ofelia?

 

 

Shakespeare non risponde. Continua a guardare la sua mano tremante.

 

 

Gudu: Narrano che la notte venga ancora a cogliere gli stessi fiori che coglieva in vita. Ululano i poeti pazzi d’amore per lei sulla sua pelle bianca d’avorio.

 

Shakespeare: Non è possibile. Ofelia è morta.

 

Gudu: E tu come fai a saperlo?

 

Shakespeare: Perché io la uccisi.

 

Gudu: La presunzione della tua poesia non solo la uccise, la fece impazzire.

 

 

Shakespeare non ribatte, lentamente si sdraia sul divano in una posizione embrionale. Gudu incalza. Da lontano il rumore delle sirene delle ambulanza cresce lentamente. 

 

 

Gudu: Credetti solo nell’eternità della tua opera e, con un segno della tua mano, comandasti sangue e chiedesti il sacrificio della creatura più amata. Lasciasti che i cuori di Danimarca si spezzassero e che altro sangue venisse versato. Chi sopravvisse, ancora si danna nel rumore incensante del fiume.

 

Shakespeare: Pensi forse che io non sia dannato?

 

Gudu: Non provare a giustificarti, non pensare che il dolore che provi sia motivo di pietà e di misericordia. (il rumore delle sirene delle ambulanze ora raggiunge il proprio apice) Come hai potuto stare inerme ad ascoltare la serafica voce di Ofelia diventare un rantolo di delirio. Come hai potuto guardare le sue vesti bagnati sul corpo senza vita? Neppure Dio chiese un simile sacrificio ad Abramo.

 

Shakespeare: Io non sono Dio, io sono un uomo.

 

Gudu: E allora come uomo, accogli la tua pena. Non mentire a me, Gudu, la tua solitudine. Accetta la tua miseria, riconosci la tua bruttura. Non meriti la piacevolezza di un simile ricordo d’amore. Dimentica di Ofelia.

 

 

Gudu si alza spegne il televisore ed esce. Shakespeare rimane l’unico in scena, sdraiato in posizione embrionale sul divano; nel completo silenzio.

 

 

 

 

 

 

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